Monte Bianco

Dopo Pechino Express sbarca su Raidue un nuovo adventure game: è Monte Bianco, il reality dedicato all’alpinismo condotto da Caterina Balivo. Produzione originale Rai (per una volta non un format straniero, e non è cosa da poco), il programma è sicuramente ambizioso: bellissima location (la Valle d’Aosta con le sue montagne), intento didattico (far conoscere l’alpinismo), prove difficili e impegnative (scalare una cima, seguire un percorso ferrato); quello che non convince è sicuramente il cast, monotono e poco interessante agli occhi del pubblico generalista. Fatta eccezione per Arisa, divertente e irritante al tempo stesso, non si scorgono personalità di spicco, capaci di emergere e, se necessario, dividere. Ci prova soltanto il giornalista Filippo Facci, con commenti che vorrebbero essere polemici, ma che alla fine risultano alquanto moderati. Per il resto, abbiamo i soliti sportivi (il calciatore Gianluca Zambrotta e il judoka Stefano Maniscalco), per forza di cose favoriti in tutte le prove atletiche, la solita straniera in cerca di visibilità, e i soliti attori desiderosi di rilanciarsi.

Nemmeno la conduzione di Caterina Balivo riesce a dare un guizzo allo show, apparendo più simile a una Marcuzzi (attentissima al look, ma fin troppo fedele esecutrice di un copione scritto da altri) che a un Costantino della Gherardesca, in grado di tenere da solo le redini di un talent grazie a sarcasmo e ironia.

Se, poi, aggiungiamo un montaggio lento e noioso, ecco che un programma ottimo sulla carta si dimostra nella realizzazione non all’altezza delle aspettative. Un vero peccato, considerato il valore anche metaforico di uno sport come l’alpinismo che è sì continua sfida al superamento dei propri limiti, ma anche fiducia incondizionata nell’altro, la guida, da cui tutto dipende nelle salite in cordata. Paradossalmente, sono proprio le guide alpine che affiancano i vip nelle prove a essere i veri protagonisti del reality, così come risulta molto più convincente nel condurre Simone Moro (unico alpinista ad aver scalato in inverno tre ottomila metri) con le sue spiegazioni e i suoi consigli ai concorrenti.

Giudizio: un’occasione mancata.

i concorrenti vestiti con i colori delle cordate

Il cast di Monte Bianco

Pechino Express – Ai confini dell’Asia

il logo rosso di Pechino ExpressÈ inutile girarci intorno, a me Pechino Express piace, e molto. Bello il montaggio sempre avvincente, bella l’idea di gioco che unisce il senso dell’avventura alla competizione, bello lo stile misurato del conduttore. Costantino della Gerardesca va migliorando di edizione in edizione: abbandonata la vena sarcastica (al limite dell’antipatia) che ne aveva fatta la fortuna da concorrente, si sta rivelando un conduttore divertito ed empatico. Mai avremmo immaginato di vederlo commuoversi all’eliminazione dei concorrenti (è successo con l’uscita dei fratelli) o di indulgere nel far superare una prova senza attenersi rigorosamente al regolamento. Che dire, poi, di quando ride nel vedere i concorrenti impacciati nello svolgimento delle prove o di quando ci regala momenti di sana ironia? Pechino Express non avrebbe potuto trovare un conduttore migliore.

Peccato per il cast, senza infamia e senza lode, lontano dai personaggi iconici delle passate edizioni come la Marchesa (che però è apparsa come guest star alla seconda puntata in quanto portatrice della bandiera nera) o di Corinne Sclery. Solo nella tappa in Malesia sono emersi  meglio alcuni caratteri, quando le coppie sono state disunite per formarne di nuove per il superamento della prova immunità. Fra tutti, chi pare godere del favore del pubblico è soprattutto Eva Grimaldi, tanto sulle nuvole in alcuni momenti quanto scaltra in altri (è riuscita a fare in modo che il conducente che le aveva offerto un passaggio pagasse la cena a sé, alla sua compagna di gioco e alla coppia dei fratelli incontrata sul luogo, oltre che a farsi pagare il pernottamento in albergo).

Un plauso va sen’altro agli autori e a chi gestisce la logistica delle prove. Prove sempre legate in qualche modo alla peculiarità dei paesi visitati: in Birmania agli eterosessuali è toccato lavare gli elefanti, in Malesia le coppie spaiate (di cui si è detto in precedenza) hanno dovuto cimentarsi nella raccolta delle foglie di tè sotto gli occhi increduli dei contadini che realmente lì ci lavorano.

La strategia di gioco quest’anno sta penalizzando le coppie più forti: dopo l’uscita degli eterosessuali (per caratteristiche assai simili agli sportivi degli anni scorsi), è stata la volta dei fratelli, una scelta, questa, che ha inaspettatamente premiato le immigrate più volte finite a rischio eliminazione e graziate o dal fatto che la puntata non fosse eliminatoria o dalle scelte discutibili dei vincitori. Sì, perché tenere in gioco i più deboli a discapito dei più forti, se da un lato rende la gara apertissima dall’altro abbassa il livello qualitativo delle prove da superare. Arrivati alla quinta puntata, ancora non si vede una coppia favorita: un motivo in più per vedere il prosieguo di Pechino Express e capire chi alla fine la spunterà.

Giudizio: di bene in meglio.

Un boss in incognito

un boss in incognitoQuest’anno in tv vanno di moda i “boss”. Dopo il boss delle torte e il boss delle cerimonie, è sbarcato su Rai dueboss in incognito”, il docu-reality condotto da un Costantino della Gherardesca insolito, più buonista e meno pungente del solito. Il format del programma è semplice: il proprietario di un’azienda, opportunamente camuffato per non farsi riconoscere, si trova a lavorare per alcuni giorni con i propri dipendenti. Solo alla fine, il boss si svelerà a coloro che gli hanno fatto da tutor nei diversi ruoli aziendali. L’obiettivo del boss è quello sia di migliorare i processi aziendali sia, soprattutto, di conoscere i propri dipendenti ed eventualmente premiarli là dove meritevoli.

La prima puntata ha avuto come protagonista David Hassan, patron di una multinazionale che realizza e vende in negozi monomarca capi d’abbigliamento. Forse in virtù anche del proprio passato (la famiglia di Hassan  fu espulsa dalla Libia nel 1967 perché di origine ebraica), il personaggio si è dimostrato da subito persona emotiva ed empatica, particolarmente sensibile al vissuto, spesso difficile, raccontatogli dai dipendenti che ha incontrato. Dipendenti, va detto, più che lodevoli sotto il profilo professionale: c’è stata la commessa che, nonostante l’ora tarda e con ancora due ore di viaggio da affrontare prima di tornare a casa, non si è mossa dal negozio finché non ha trovato un fabbro per sistemare la saracinesca rotta da Hassan (il quale era, invece, pronto ad andarsene come nulla fosse lasciando il problema da risolvere ai commessi del giorno dopo); c’è stata l’addetta al magazzino che si è offerta di accompagnare Hassan alla stazione per tornare a casa, non prima di averlo ospitato a pranzo, sebbene si trattasse per lei dell’ultimo collega arrivato, assegnatole per il tirocinio, e così via.

Ma com’è possibile riprendere tutto questo senza falsare la realtà? Innanzitutto, per giustificare la presenza delle telecamere i dipendenti sono stati avvertiti che si sta girando un documentario sul lavoro, e poi, il travestimento del protagonista è tale che c’è chi, al momento del disvelamento, è rimasto talmente attonito da non volerci nemmeno credere, temendo, al contrario, che il motivo della convocazione fosse la riduzione dell’organico.

Certamente, la costruzione autoriale c’è: non è possibile, infatti, che i casi personali affrontati non siano prima stati in qualche modo segnalati. Tutte le persone incontrate da Hassan, vuoi in qualità di commesso, magazziniere o fattorino, sono state aiutate. Parliamo di aiuti veri: la commessa che ha raccontato di essere in difficoltà economiche dopo l’abbandono del marito ha ottenuto un contratto a tempo indeterminato full time; l’addetto alla produzione in catena di montaggio, preciso e scrupoloso, è stato nominato responsabile di reparto; la madre single che ha ospitato il capo si è vista offrire diecimila euro per pagare le spese d’istruzione del figlio.

A questo punto, c’è da chiedersi: non sarà troppo? No, perché i dipendenti sono davvero modello e il boss di buon cuore. La puntata, scritta benissimo nel suo svolgimento narrativo, si è chiusa in modo edificante: chi si trovava in difficoltà è stato aiutato, chi se lo meritava ha ottenuto ciò che sperava. Un mondo, ahimè utopico, che solo l’intervento della tv ha reso possibile. Ora, resta da vedere se le prossime puntate continueranno su questa linea, o se ci riporteranno alla bieca realtà, fatta di boss insensibili e dipendenti scansafatiche.

Giudizio: troppo bello per essere vero.